Come diminuire l’impatto ambientale del proprio guardaroba

Come diminuire l’impatto ambientale del proprio guardaroba

Come diminuire l’impatto ambientale del proprio guardaroba

Ti sei mai domandato qual è l’impatto ambientale della tua cabina armadio, o più in generale della produzione dei tuoi vestiti? Se la produzione di un abito ha un costo relativamente basso per il consumatore finale, specie nel campo del fast fashion; sull’ambiente il costo è decisamente più elevato.

Il forte impatto ambientale che la moda ha sull’ecosistema non riguarda solo la produzione, ma anche la distribuzione dei prodotti. Una distribuzione dei capi di moda che con l’avvento e la diffusione degli e-commerce e dello shopping online ha raggiunto apici mai visti prima.



La tendenza sempre più diffusa dei buyers online è quella di acquistare una grande quantità di capi di abbigliamento per poi sceglierne pochi o addirittura nessuno, mandando indietro l’ordine creando disagi organizzativi, facendo diventare la gestione dei resi e la logistica la sfida più grande per tutti gli e-commerce.

Sul portale Fast Company è stato affermato che entro il 2020 i costi dei resi per le aziende arriveranno fino a 450 miliardi di euro: il 75% in più rispetto al 2016. Negli USA nel 2018 il valore dei prodotti resi è stato di 369 miliardi di dollari pari al 10% delle vendite - fonte Appriss Retail.

Cifre come queste fanno molto discutere sull’effettiva sostenibilità dei resi gratuiti degli e-shop; ma questo non è l’unico problema legato a questo aspetto. L’impatto dei resi non coinvolge quindi solo la sfera economica delle aziende, il sempre più crescente numero di resi ha come conseguenza grandi e gravi problemi ambientali dovuti al trasporto e all’imballaggio dei prodotti, che porta ad avere una grandissima quantità di rifiuti - il più delle volte non riciclabili.



Sempre su Fast Company si legge che negli Stati Uniti la produzione di gas serra legata ai trasporti, soprattutto quelli per le consegne last mile, ha superato quella delle centrali energetiche. Senza dimenticare anche la grande quantità di scatole di cartone e rivestimenti di plastica che vengono utilizzati per la restituzione degli prodotti. 

Il numero dei resi è diventato davvero altissimo negli ultimi anni e questo si deve alle abitudini dei nuovi consumatori moderni. È sempre più diffuso il wardrobing, fenomeno per cui le persone acquistano online, indossano l’abito una volta e lo restituiscono. Questo fatto non riguarda solo il settore dell’abbigliamento, ma anche quello calzaturiero ed elettronico.

Un’abitudine nata grazie alla possibilità di acquistare online senza spese di spedizione e con reso gratuito; servizi dei quali un consumatore digitale non può più fare a meno, tanto da influenzare le sue scelte d’acquisto. Uno studio pubblicato su The Journal of Marketing afferma infatti che le aziende che garantiscono questi servizi aumentano le loro vendite del 457%, ecco che la conseguenza è il crescente numero dei resi che a loro volta generano un importante impatto ambientale. Alcuni grandi e-shop come Amazon e Sephora, per cercare di ridurre questo fenomeno hanno deciso di bannare i consumatori che fanno resi troppo frequentemente, mentre Asos ha dichiarato di procedere con controlli ed agire di conseguenza con tutti gli acquirenti che definisce restitutori seriali.

Ma perché vengono richiesti i resi?

La rivista Women’s Wear daily ha identificato 4 categorie di “serial returners”, cioè di persone che fanno della politica di reso un’abitudine.

  1. L’acquirente compulsivo: colui che preso dalla frenesia del momento tende ad acquistare tantissimi capi di abbigliamento ma che una volta ricevuti si fa prendere dai sensi di colpa e restituisce alcuni o tutti i prodotti acquistati.
  2. Il wardrober: lui acquista un outfit solo per sfoggiarlo durante una particolare occasione e poi lo restituisce.
  3. Il social media wardrober: anche lui tende ad acquistare un outfit particolare e riconsegnarlo dopo averlo sfoggiato e postato su tutti i suoi canali social.
  4. Il bracketer: l’indeciso sulle taglie. Compra dello stesso prodotto taglie e colori diversi per poi provare tutto e scegliere la taglia ed il colore che gli calza meglio.


Il più delle volte il reso è dovuto alla scelta della taglia sbagliata.
Molto spesso le taglie vengono calcolate in maniera poco precisa e poco accurata. Capita sovente infatti di ordinare un vestito, un pantalone o qualsiasi altro capo d’abbigliamento e poi rendersi conto, una volta aperto il pacco, che questo non corrisponde alla taglia desiderata. L’unica alternativa che si ha in questi casi è quella di richiedere il reso, mandando indietro il prodotto, andando così ad aggravare l’impatto ambientale.

Come possiamo ridurre la forza dell’impatto ambientale della moda sul nostro ecosistema?

Un modo per ridurre questo forte impatto ambientale è rendere consapevoli i compratori, dando loro un’adeguata educazione ecologica, portandoli ad avere più rispetto per l’ambiente e quindi invitandoli a cercare soluzioni di shopping alternative come il rental e l’acquisto di abiti usati.

Una di queste proposte è infatti il fashion renting. Si tratta della possibilità di noleggiare vestiti a costi accessibili, sfoggiarli per l’occasione e restituirli. In questo modo non solo vengono diminuiti i costi di gestione dei resi e della logistica, ma vengono anche ridotti tutti gli sprechi e scarti tessili.
Meno acquisti e più noleggi è quindi una nuova politica di sostenibilità. 

Altre proposte arrivano dal fronte hi-tech.

Il gruppo Kering, leader nel settore della moda di lusso sostenibile, ha infatti ideato e realizzato un’app con l’obiettivo di misurare il costo dell’impatto ambientale della produzione di un bene. L’app si chiama EP&L  (Environmental Profit & Loss Account) e permette di valutare l’impatto che la produzione di un qualsiasi bene, come scarpe o giacche, ha sull’ambiente. In particolare l’app calcola l’impatto relativo alle emissioni di carbonio, al consumo di acqua e dell’aria, i rifiuti prodotti e il consumo del suolo.

Thred Up, il negozio di usato più grande del mondo, ha realizzato il Fashion Footprint Calculator per misurare l’impatto legato al tuo guardaroba.
È infatti un test sulle proprie abitudini di acquisto, su come ci si prende cura dei propri vestiti - dal lavaggio all’asciugatura. Dopo il test si riceve un punteggio e diversi consigli per migliorarsi e diventare un consumatore più attento anche alle tematiche ambientali.

Anche la nostra App SizeYou può essere d’aiuto nel rispetto dell’ambiente. SizeYou infatti ti permette di raccogliere le misure antropometriche in modo preciso, così sarà più semplice scegliere la tua taglia corretta e non dover così effettuare il reso, contribuendo in piccola parte alla salvaguardia dell’ambiente.



Questi strumenti possono aiutare ad accrescere e migliorare la consapevolezza delle nostre scelte di acquisto, infatti ridurre i resi significa anche porre un freno al fast fashion, un’industria che emette il 5% delle emissioni globali di CO2 e crea in 48 ore ciò che, anche con le più avanzate tecnologie, occorrerebbe 12 anni per riciclare.


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